Siro Ferrari
Bergamo 21 febbraio 1939 - 1970 - Bergamo 5 ottobre 2025
Dopo aver conseguito il diploma di ragioniere, Siro iniziò a lavorare come impiegato amministrativo
presso un’industria per la lavorazione delle materie plastiche,
dimostrando molto interesse e serietà per la sua professione.
Accanto all’animazione parrocchiale Siro ha presto manifestato un’attenzione ai problemi sociali
e un impegno verso le attività assistenziali, così nel tempo libero,
a 25 anni iniziava il volontariato nell’albergo popolare Bonomelli per i senza fissa dimora alcolizzati.
In seguito, aumentando e diversificandosi le situazioni di disagio (droga, immigrati,
pazienti dimessi dai manicomi chiusi) con don Gian Maria Pizzigalli, promuove nuove iniziative
e l’apertura di Cooperative di lavoro sociale.
Sempre più coinvolto nel volontariato per persone disagiate, nel 1983 decide di lasciare il proprio lavoro di ragioniere,
per essere assunto e dirigere, con un reddito più basso, l’albergo popolare Bonomelli.
Svolge questo lavoro fino al 1996, anno di raggiungimento della pensione ma
non interrompe la sua attenzione per gli “ultimi” proseguendo un volontariato gratuito nelle diverse occasioni
che gli si presentano, occupandosi di immigrati, carcerati e mense per i poveri.
Per Siro era importante la relazione che poteva instaurare con il povero, prima ancora di fornire un aiuto concreto
e considerava tutti fratelli, senza distinzione di razza, colore della pelle, credo religioso.
Era sua convinzione che bisogna aiutare quelli che nella vita commettono errori soprattutto
perchè sono le persone più fragili e bisognose di comprensione, a questo riguardo i suoi richiamo erano
sempre fatti con mitezza e moderazione.
Nel maggio del 2015, Siro partecipò ad un convegno degli Istituti Secolari
e concludeva la sua relazione con le parole attribuite a padre Felice
che troviamo nel famoso romanzo dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
Quel testo scelto da Siro è molto significativo perché descrive la sua personalità e sappiamo che ogni parola,
ogni azione, ogni intervento nelle conversazioni, portava il segno di una particolare delicatezza,
per cui ci piace pensare che Siro abbia scelto queste frasi per manifestare un sentimento di grande mansuetudine,
al punto da sembrare che volesse chiedere scusa se l'aiuto che aveva prestato per gli altri,
non era stato adempiuto con la massima cura e attenzione.
“Per me e per tutti i miei compagni, che, senza alcun nostro merito,
siamo stati scelti all’alto privilegio di servire Cristo in voi;
io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo degnamente adempito un sì gran ministero.
Se la pigrizia, se l’indocilità della carne ci ha resi meno attenti alle vostre necessità,
men pronti alle vostre chiamate; se un’ingiusta impazienza,
se colpevol tedio ci ha fatti qualche volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo;
se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi,
ci ha portati a non trattarvi con tutta quell’umiltà che si conveniva,
se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione che vi sia stata di scandalo:
perdonateci! Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito e vi benedica”.
