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Pasqua: riflesso terreno della vita trinitaria - (audio)

Pasqua

Mancano quattro settimane alla celebrazione della Pasqua, quel mattino (2 marzo 1986)
Lazzati non è stato il primo a portarsi in preghiera nell’antica chiesetta dell’Eremo,
come era sua consuetudine.
Si dovette invece chiamarlo, bussando alla sua cameretta e chi entrò lo trovò seduto sul letto: disse di non essere in grado di dettare la meditazione e invitava a sostituirlo.
Con fatica partecipò alla preghiera delle Lodi e alle 8.45 iniziò, in quelle condizioni, la sua ultima esortazione, in un crescendo di effusione, facendo cogliere ai presenti con quale intensità lui penetrasse e vivesse il mistero della Santa Pasqua del Signore Cristo Gesù; l’ultimo atto, semplice e solenne insieme, fu quello di chiudere il libro sacro della Bibbia con un deciso Amen.


Ci avviciniamo alla Pasqua e io mi ero ripromesso di fare una meditazione come si deve, ma poiché questa mattina sono un po’ fuori squadra… ne facciamo una breve.
Giustamente quando si fanno le meditazioni sulla Pasqua, sulla passione, si mette in luce quelli che sono i dolori di Cristo, la generosità con cui ha affrontato la passione fino alla morte e giustamente questo va fatto. Ma io volevo cercare di scavare più in profondità: qual è la ragione di questo e quindi vedere come nella Pasqua noi abbiamo il riflesso terreno della vita trinitaria. La vita trinitaria è tutto! Tutto sta in questo, che io oso chiamare circuito di vita tra Padre, Figlio e Spirito Santo. E il riflesso più vivo di questo circuito di vita, quale è dato cogliere nel tempo, è precisamente la Pasqua.
Quale è la ragione di fondo per la quale Cristo affronta la Pasqua, con tutto quello che vuol dire, come dicevo prima, riveduta nei suoi momenti che sono momenti terribilmente penosi, dolorosi? La ragione sta nel fatto che la regola di vita di Gesù, del Figlio di Dio fatto uomo ma già del Figlio di Dio [Il Verbo], è la obbedienza al Padre. E’ naturalmente una obbedienza che è tutta nutrita d’amore. E’ una obbedienza in cui l’amore si rivela nella sua pienezza, con una volontà di consonanza con la volontà del Padre, per cui nulla si sottrae a quella volontà e cioè, per meglio dire, in cui quella obbedienza diventa veramente, pienamente la risposta dell’amore all’amore.
Il Figlio è generato dal Padre. Lo diciamo nel Credo: “Generato non creato”. E’ Figlio nel senso vero della Parola. E’ Figlio di questo infinito amore che lo genera e che ha naturalmente - ove naturalmente è riferito a Dio - la sua legge nella identità della volontà. Quello che il Padre vuole, questo lo vuole il Figlio e lo vuole nello stesso modo con cui lo vuole il Padre, nella stessa misura in cui lo vuole il Padre, senza sottrarre nulla alla volontà del Padre.
E a dare questa identità di volontà espressa nell’amore, non è una volontà fatta borbottando. A noi succede di dover fare la volontà di un altro borbottando. No! E’ una volontà fatta veramente di amore. Ebbene il vincolo dell’amore, o meglio, l’anima di questo amore che fa il Figlio capace di rispondere all’amore del Padre che lo genera, con una misura d’amore che è pari alla misura con cui nell’amore è generato dal Padre, è lo Spirito Santo “che procede dal Padre e dal Figlio” come diciamo nel Credo. Questo è il mistero fondamentale cristiano, il primo mistero cristiano: il Dio uno e trino.
Ora l’immagine più viva di questo amore, quale si riflette nella realtà umana, è precisamente la Pasqua. Ciò noi lo cogliamo – andrebbero riletti con calma, meditandoli - negli ultimi capitoli del Vangelo di Giovanni, a partire dal 15 e su su fino al capitolo 16 e 17. Anzi io vi consiglio, in preparazione alla Pasqua, di leggere, ma di leggere meditando e gustando questi capitoli. In questi capitoli, questa identità tra la volontà del Padre e la volontà del Figlio si rivela in modo molto, molto chiaro. Non abbiamo tempo di leggere, piano piano, meditando questi capitoli del Vangelo di Giovanni, ma ne possiamo leggere qualche espressione.
Al capitolo 17: “Così parlò Gesù…” - e si rifà alle espressioni che immediatamente precedono: “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” - “Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo disse: «Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi Te.» Vedete questa corrispondenza: “Glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi Te. Poiché Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato”.
Dunque c’è al disotto la volontà del Padre di dare al Figlio ogni essere umano, perché ad ogni essere umano il Figlio dia quella vita che il Padre vuole sia data. Il Padre, che è il creatore ed ha creato l’uomo a immagine e somiglianza del Figlio, vuole che il suo disegno possa essere realizzato e la cui realizzazione ha affidato al Figlio: “Questa è la vita eterna; che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sopra la terra compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.”
Guardate questo rapporto. Dio non ha bisogno del mondo. La vita di Dio è in se stessa perfetta, piena: è pienezza di vita. Dal momento in cui Dio crea il mondo, decide di rendere partecipi altri – e siamo noi! – di questa vita e affida il compito al Figlio: “Io ti ho glorificato.” Questo “ti ho glorificato” vuol dire appunto: ti ho dato gloria obbedendo a quello tu mi hai domandato di fare. “Io ti ho glorificato sopra la terra compiendo l’opera tua che mi hai dato da fare. E ora Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.” Non è un’altra gloria, è la stessa gloria. E qual è questa gloria? E’ la gloria che consiste nella identità di volontà nascente da amore, non da costrizione; è la risposta dell’amore all’amore del Padre. Naturalmente qui si può andare avanti a leggere, versetto per versetto: fatelo da voi in queste settimane che ci dividono dalla Pasqua.
Ora questa espressione trova un punto particolarmente forte nel quale la volontà di Dio del Figlio, in quanto figlio, si esprime nella volontà della natura umana congiunta alla natura divina nella persona del Figlio. Ad un certo momento il Figlio si è fatto uomo, ma quell’uomo è condotto a dare gloria a Dio nello stesso modo con cui il Figlio ha glorificato il Padre. Allora noi ricordiamo quella parola che, vorrei dire, sta al centro del Mistero pasquale, che decide il Mistero pasquale, nella sua esecuzione concreta, nell’orto degli ulivi: Padre se è possibile, passi da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà si faccia. (Cfr Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42)
E qui la volontà dell’uomo Gesù si unisce alla volontà del Figlio di Dio e si unisce in un modo perfetto. La volontà del Figlio di Dio è la volontà del Figlio dell’uomo, allo stesso modo, nella stessa misura, senza alcuna differenza. Questo è, - come devo dire? - il principio generatore di tutto quello che verrà poi. Gesù lo sa molto bene, lo vede con lucidità, lo accetta e si dichiara disposto a fare quello che il Padre gli chiede. E che gli chiede non così per il gusto di chiederglielo, ma che gli chiede perché attraverso questa perfetta obbedienza dell’uomo-Dio a Dio, si rimette in condizione l’uomo di realizzare il progetto divino, che lo ha pensato e voluto a immagine e somiglianza di Dio. E, ripeto, qui sta il nocciolo del Mistero pasquale, di questa obbedienza fatta di amore, capace di accettare la morte: fatto “obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” (Fil 2,8)
Da qui si vede che se vogliamo realizzare il disegno creatore di Dio sull’uomo “facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gen 1, 26), è legge indispensabile di questo l’accettare di farsi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Questo “alla morte di croce” evidentemente non è da prendere nel senso letterale, ma è da prendere nel senso che venga accettata la morte, quale che sia, come espressione di una obbedienza fatta d’amore. Questa è la partecipazione al Mistero pasquale: sia fatta la tua volontà.
E perché questo si compia è opera dello Spirito, che è l’amore sostanziale che lega il Figlio al Padre, che lega prima il Padre al Figlio generandolo e che come risposta al dono della generazione d’amore, lega il Figlio al Padre rispondendo nella stessa misura, vorrei dire, nella misura piena. Questo “sia fatta la tua volontà” è la risposta piena dell’amore nello Spirito Santo. Non per nulla Cristo, nell’atto di patire la sua crocifissione e morte, con una espressione che sembra perfino strana, consegna al Padre lo Spirito, cioè consegna al Padre la sua capacità di amare con cui è amato dal Padre. In questo modo nel Mistero pasquale il Padre che ha affidato al Figlio la redenzione dell’uomo la vede compiersi così come l’ha pensata, come risposta d’amore, che ha la medesima forza con cui il Figlio è stato generato e con la quale al Figlio è stato assegnato il compito di riportare l’uomo a quell’amore che aveva rifiutato, peccando, disobbedendo.
Questo in virtù dello Spirito Santo senza del quale questa forza l’uomo non ha. [Gesù] lo dice qui con molta chiarezza: Io vi manderò lo Spirito consolatore ed è lo Spirito consolatore che vi insegna a fare tutto quello che il Padre vi domanda di fare. (Cfr Gv 14,26; 15,26). Sicché, veramente a pensarci bene, mi pare che sia così valida questa espressione che ho usato: il Mistero pasquale è, nel tempo e nelle realtà terrene, il riflesso della vita trinitaria che permette all’uomo di rientrare nel disegno della vita trinitaria per il quale è stato creato. Perché se è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26), è stato creato così, proprio perché in lui ci fosse questa capacità di fare la volontà del Padre così come la fa il Figlio in forza dello “Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio.” (Credo)
Ecco allora il valore della Pasqua. Dicevo prima che vogliamo prepararci bene alla Pasqua per cui giova, eccome: – e la pietà cristiana ha insistito molto su questo - meditare quel “fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” (Fil 2,8), specificando, vedendo i vari momenti della sofferenza attraverso la quale Gesù ha dovuto passare per rendersi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Prima il tradimento, i tribunali, i processi disgraziati, quella condanna che lo crocifigge, il viaggio al Calvario, la crocifissione materiale, la morte, la morte certamente dolorosa al massimo…Ecco: giova tutto questo, sì giova. E’ bene fermarsi, meditare, vorrei dire, partecipare con amore compassionevole all’amore con cui Dio ci ha amato; però avendo ben in mente che tutto questo ha uno scopo. E’ quello di riportare l’uomo alla capacità di obbedire a Dio, al Padre; a fare la volontà del Padre in pienezza.
Prende forza allora quella espressione evangelica (Cfr Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23): Chi vuol venire dietro di me… Che vuol dire: chi vuole veramente capire e attuare il mistero della mia presenza qui, in mezzo a voi uomini, ha una sola cosa da fare: prendere la sua croce e seguirmi, perché questo è il modo di realizzare la Pasqua. Fuori di qui, un modo che veramente realizzi la Pasqua non c’è.
Come dicevo, è bello, è giusto… ci aiuta la meditazione di quelle che sono le sofferenze che Gesù ha dovuto sopportare per attuare questa sua obbedienza fino alla morte e alla morte di croce. Ma il punto decisivo è precisamente quello: accettare la morte in unione alla morte di Cristo fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Ma fermarsi qui vorrebbe dire far scendere sulla Pasqua una nube densa! La Pasqua è dolore, passione, ma la Pasqua si risolve nella risurrezione. Se possiamo dire che Cristo, fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce - “emisit spiritum” (Mt 27,50) lanciato un grido, muore - tira l’ultimo respiro, probabilmente in quel “tira l’ultimo respiro” c’è qualcosa di più. C’è il consegnarsi al Padre che gli tende la mano perché è stato fedele nell’obbedienza fino alla morte e alla morte di croce. E che ricompone, se possiamo dire così parlando da uomini, l’unità fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, attraverso l’uomo Cristo, unità che dall’eternità costituisce il circuito di vita tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che è circuito d’amore, di vita d’amore. Di vita, che cerca, attraverso l’adesione del Figlio alla volontà del Padre, per opera dello Spirito Santo, di fare piena la vita di Dio, vita che in questo e in questo solo consiste.
L’amore che di lì parte e si riflette sull’uomo non è una componente ma è una espressione della vita di Dio che non ha bisogno di amare l’uomo per vivere! Iddio dimostra la propria vita all’uomo amandolo ma la sua vita è perfetta in se stessa, senza bisogno che Egli ad altri manifesti la propria vita, chiamando altri a partecipare alla sua vita, altrimenti non sarebbe perfetto. Ma in quell’atto, in questo estremo momento in cui il Figlio consegna al Padre lo Spirito che l’ ha sorretto in questa terribile prova - perché se ci fermiamo a meditare è una cosa terribile! – nel momento in cui riconsegna al Padre la pienezza dell’amore che lo ha sostenuto nel farsi obbediente fino alla morte, riparando alla disobbedienza dell’uomo e ottenendo così all’uomo la capacità di farsi obbediente come lui al Padre, si compie quello che è il riflesso terreno, storico di quello che è la vita del Padre, manifestata all’uomo attraverso la passione ma che trova la sua conclusione nella Risurrezione.
Sicché giustamente si celebra solennemente la Pasqua nella gioia, nell’esplosione della gioia perché è la esplosione manifesta di un amore che sarebbe rimasto non conosciuto se non avesse avuto – meglio, se non avesse perché è cosa che continua e che riguarda ciascuno di noi - questa manifestazione che da Dio passa all’uomo e attraverso il Figlio dell’uomo ritorna a Dio.
Se è possibile, in queste settimane di Quaresima che restano, se riusciamo, concentriamo un poco la nostra riflessione su quello che è il significato più profondo della Pasqua: la Trinità che vive nella storia per redimere la storia e portarla dentro il circuito della vita divina. Se riusciamo a meditare un poco su questa insondabile profondità che è certamente un mistero, forse ci aiuta, da una parte, a dare alla nostra preparazione alla Pasqua quel tono interiore che deriva dal dire: voglio essere obbediente come era obbediente Cristo. Questa è la regola fondamentale: costi quel che costi! E dall’altra, attraverso questa preparazione, ci permetta di giungere a celebrare la Pasqua nell’esultanza pasquale in quel Alleluja che non si finisce mai di ripetere e di cantare durante la Pasqua.
Non a caso, perché veramente, attraverso la fede che penetra il significato profondo della Pasqua, non c’è Alleluja che basti a celebrare la grandezza, la profondità, la vastità del mistero a cui partecipiamo, che diventa, da mistero di dolore, il mistero della gioia piena e anticipo di quella che sarà la gioia eterna. Perché la gioia eterna non sarà se non la partecipazione a questo entrare con Cristo, fatto obbediente fino alla morte e attraverso la sua risurrezione, nel rapporto tra Padre, Figlio e Spirito Santo, che costituisce l’essenza della nostra vita, perché è in questo rapporto e di questo rapporto che noi viviamo e in cui siamo. Non è per altro!
E allora qui sta proprio la ragione profonda e si capisce perché la Pasqua è, per la Chiesa, la festa fondamentale, è il momento fondamentale in cui si rivela il mistero cristiano. E i cristiani sono invitati a viverlo per quello che esso è: nella sua realtà profonda che dovrebbe poi tradursi in vita giorno per giorno, naturalmente nella misura in cui è possibile, che fa del cristiano la vita del Risorto, attraverso la morte certo, ma del Risorto, che gode in Cristo, con Cristo e per mezzo di Cristo, la gioia di questo ritorno al Padre, attraverso la strada dolorosa della Croce ma che culmina nella gioia di questo Alleluja pasquale che non ha fine. Amen.